INTRODUZIONE ALL'ANALISI DEL MONTAGGIO

DISCORSO PRELIMINARE

 Nel saggio introduttivo al volume “Il montaggio” di Ejzenstejn, J. Aumont parla del regista russo come una personalità più nota che conosciuta, la cui storia è quella di un cineasta che non riusciva a fare film e che, quando li faceva, venivano distrutti, modificati, nascosti, proibiti. Ma è anche la storia sventurata di uno scrittore travestito da cineasta: uno scrittore prolisso, ripetitivo, autodidatta come il cineasta; uno scrittore che fa di tutto per non essere letto e che, una volta letto, fa di tutto per non essere compreso. E parla di Ejzenstejn teorico, un teorico audace ed ostinato, ma con un avvertimento perfettamente condivisibile: non si dovrà mai cercare, in Ejzenstejn, la teoria conclusa, e ancor di più non si dovrà mai cercare la teoria applicabile: perché ad ogni possibile approfondimento di una teoria, come è noto, Ejzenstejn preferiva la formulazione di una teoria nuova, anche in contraddizione con la precedente. Lo stesso vare per i concetti, che restano vari e multiformi ma sostanzialmente labili, che vivono costantemente all’insegna della possibilità, tutt’altro che remota, di essere rivisti, eclissati, o superati da altri concetti elaborati da Ejzenstejn.
Se c’è, però, un termine che attraversa l’intero progetto teorico ejzenstejniano, questo è senza dubbio il termine “montaggio”, e a ben vedere è anche l’unico (persino il concetto di “conflitto”, che è alla base dell’intera concezione cinematografica di Ejzenstejn, tenderà a sparire o perlomeno a presentarsi sotto vesti diverse nel periodo della maturità). Aumont allora si vede costretto a precisare che rimane piuttosto semplice estrarre dall’opera di Ejzenstejn delle teorizzazioni del montaggio (egli stesso le etichetta); il difficile, semmai, è capire che non si tratta di “metodi” di montaggio (alcuni di essi, secondo Aumont, non sono applicabili concretamente (montaggio armonico)), perché non nascono da una pratica ben precisa (anzi, sono i film che nascono dalle teorie); il montaggio, sottolinea Aumont, non è un concetto: è solo un principio ancora da studiare e poi da spiegare, descrivere.
Aumont conclude dicendo che Ejzenstejn resta una figura impressionante, per la sua intelligenza, per la sua cultura, per il suo lavoro, la sua produttività: ma riflette, sul finire del saggio, domandandosi dove si trovi l’eredità di Ejzenstejz. Certamente qualcosa della sua brillante pratica sul montaggio è presente in un Godard, per esempio; ma forse il luogo dove maggiormente la sua influenza si fa sentire è nel mondo degli spot pubblicitari e dei video clip.

INTRODUZIONE

 Il montaggio, a partire da Griffith ed Ejzenstejn, è stato sempre considerato l’elemento specifico del linguaggio cinematografico, la sua quintessenza. Ne esistono diverse forme di montaggio, di cui la più diffusa, conosciuta ed applicata è la formula del découpage classico; ma ad esso si affiancano almeno altri tre modelli: il montaggio connotativo, quello formale ed il montaggio discontinuo. A noi interessa il montaggio connotativo, che è il tipico montaggio ejzenstejniano (che parte dalla nozione fondamentale del montaggio che è “l’effetto Kulesov”, ovvero quell’effetto mediante il quale due inquadrature unite l’una all’altra acquistano un significato diverso, o un senso diverso, da quello che produrrebbero prese ognuna di per sé): per Ejzenstejn il montaggio produce senso.
La riproduzione filmica della realtà fenomenica non è, per Ejzenstejn, un evento particolarmente interessante. Ciò che conta è il senso che riusciamo ad estrarne attraverso una sua interpretazione. Il cinema non deve limitarsi a riprodurre: il cinema deve, innanzitutto, produrre; ed il cinema produce senso. Il mezzo per produrre senso attraverso una interpretazione della realtà è il montaggio, e questa caratteristica peculiare della quintessenza del cinema è presente fin dai primi scritti di Ejzenstejn.
Alla base dell’intera concezione ejzenstejniana del montaggio cinematografico c’è il conflitto, la collisione tra due inquadrature che si trovano l’una accanto all’altra. Tali conflitti si possono ottenere non solo nel passaggio da un piano all’altro ma anche all’interno della medesima inquadratura. Come si vedrà in seguito, ci sono diversi tipi di conflitto, che portano Ejzenstejn alla formulazione del suo montaggio “intellettuale”.

FUORI CAMPO

 Secondo Ejzenstejn non esiste un cinema senza una cinematografia. E secondo lui, il Giappone, è un paese che contiene una quantità infinita di elementi cinematografici distribuiti un po’ ovunque tranne che nel cinema; e questo perché il Giappone non ha una cinematografia.
Il saggio Fuori Campo è dedicato agli elementi della cultura giapponese che stanno al di fuori del cinema.
Secondo il regista e teorico russo il cinema è un certo numero di ditte, un gran giro di capitali, tante stelle e molti drammi. La cinematografia è innanzitutto montaggio. Il cinema Giapponese è fornito di parecchie ditte, capitali, attori e soggetti, ma è un cinema che ignora il montaggio. Ma secondo Ejzenstejn, il montaggio è l’elemento originario della cultura figurativa giapponese, tramite la scrittura, il geroglifico (in quanto scrittura prevalentemente figurativa).
La rappresentazione figurativa di un oggetto ha radici antichissime – spiega Ejzenstejn –, in quanto nasce 2650 anni prima della nostra epoca dalle mani di Ts’ang Chien, che formò il primo contingente di geroglifici. Alla fine del III secolo non si graffia più il bambù, bensì si usa il pennello; poi, nel I secolo, ecco la carta. Nel 220, finalmente, arriva l’inchiostro. Osservare i geroglifici è particolarmente importante, in quanto la combinazione di due geroglifici di tipo più semplice non si considera la loro somma bensì il loro prodotto; ognuno corrisponde, preso di per sé, ad un oggetto, ad un fatto, ad un concetto più semplice. Combinati insieme, come elementi o concetti rappresentabili, si ottiene un qualcosa (fatto o concetto) che è graficamente irrappresentabile: un senso nuovo ( e per Ejzenstejn il senso non è rappresentabile).
Per esempio la rappresentazione dell’acqua e di un occhio significa “piangere”; la rappresentazione di un orecchio vicino al disegno di una porta “ascoltare”. Un cane ed una bocca “abbaiare”; una bocca ed un bambino “urlare”, una bocca ed un uccello “cantare”, un cuore ed un coltello “tristezza”. E per Ejzenstejn questo è montaggio.
La stessa cosa, secondo Ejzenstejn, la si fa nel cinema quando si mettono in rapporto certi fotogrammi che sembrano univoci sotto il profilo rappresentativo ma neutri per quanto riguarda il senso. Questo è il punto di partenza per un cinema “intellettuale”, all’insegna della laconicità, della sintesi massima, nell’esposizione visiva dei concetti astratti.
Lo stesso metodo – secondo Ejzenstejn – lo ritroviamo anche negli esempi più perfetti dell’arte figurativa giapponese. Il procedimento è analogo a quello del geroglifico, poiché nell’esempio che fa Ejzenstejn (quello del ritratto di Tomisaburo) si nota perfettamente come la maschera sia intagliata nel legno in proporzioni anatomiche, mentre le proporzioni del viso assolutamente impossibili. Ma non si tratta di un errore: l’autore assume come norma delle proporzioni l’essenza dell’espressività psicologica. Ed ecco spiegato perché accade la stessa cosa del geroglifico, quando si combina un’immagine indipendente come la bocca ad un'altra in sé autonoma come quella di un bambino per esprimere il senso del “grido”; ed è, dice Ejzenstejn, quanto si fa anche nel cinema: in occasione della successione temporale si provoca una mostruosa sproporzione delle parti di un normalissimo sviluppo di un avvenimento, come in occasione di primi piani, particolari, dettagli ecc.; si opera con il montaggio una partizione degli avvenimenti in “piani” che ci mostrano un occhio due volte più grande di un uomo in tutta la sua altezza.
Ovviamente, a questo punto, entra in ballo il discorso sull’inquadratura: detto in modo semplicistico, le inquadrature – incollate l’una all’altra – formano il montaggio. Ejzenstejn prende come esempio uno dei grandi maestri russi, Lev Kulesov, che si è fatto portavoce della teoria del mattone: «le inquadrature-segni esprimono un concetto, sono dei mattoncini che costruiscono, insieme, il muro-film»; secondo tale teoria, l’inquadratura è un elemento del montaggio, ed il montaggio – quindi – un insieme di elementi. Ma Ejzenstejn non si dimostra convinto da tali conclusioni: per lui l’inquadratura non è un elemento del montaggio, bensì una “cellula” del montaggio. E poi arriva a specificare cos’è che caratterizza il montaggio e, di conseguenza, anche l’inquadratura: il conflitto, la collisione. Il montaggio è sempre conflitto e l’inquadratura è una cellula di montaggio. La concatenazione di pezzi-inquadrature, nel caso dei mattoncini esposto da Kulesov e dal suo allievo Pudovkin, è un caso parziale per cui i mattoni posti l’uno accanto all’altro espongono un pensiero. Ejzenstejn contrappone il suo punto di vista sul montaggio come collisione: il luogo deve vengono a collisione due dati è il luogo in cui si produce un pensiero (e quel luogo è il montaggio). Quindi occorre esaminare l’inquadratura dal punto di vista del conflitto.
Ejzenstejn propone un confronto per chiarire il concetto: se proprio si vuole confrontare il montaggio con qualcosa, lui ama paragonare la serie di pezzi di montaggio – le inquadrature – con la serie della esplosioni di un motore a scoppio che si moltiplicano in senso dinamico si convertono negli impulsi che danno il movimento alla vettura. Il conflitto all’interno dell’inquadratura può essere di svariati tipi, ed Ejzenstejn propone una serie di conflitti “cinematografici”:

  1. il conflitto delle direzioni grafiche (delle linee);
  2. il conflitto dei piani (tra loro);
  3. il conflitto dei volumi;
  4. il conflitto delle masse (volumi sottoposti a diversa intensità luminosa);
  5. il conflitto degli spazi.

Poi ci sono i conflitti che richiedono solamente un ulteriore impulso di intensità per scindersi in coppie di pezzi antagonisti:

  1. primo piano e profondità di campo;
  2. pezzi con orientamento grafico divergente;
  3. pezzi a dominante volumetrico e pezzi a dominante piana;
  4. pezzi scuri e pezzi chiari.

Infine ci sono conflitti inattesi come: 

  1. il conflitto tra l’oggetto e la sua spazialità;
  2. il conflitto tra l’avvenimento e la sua temporalità.

Il primo è l’alterazione ottica per mezzo dell’obiettivo, il secondo l’accelerazione o il rallentamento.
Tutto ciò ci porta, secondo l’autore del saggio, ad un importante principio generale del conflitto: Il principio del contrappunto ottico.

DRAMMATURGIA DELLA FORMA CINEMATOGRAFICA

 Abbiamo parlato di laconicità: secondo Ejzenstejn la sintesi nasce dalla contraddizione di tesi e antitesi; nel campo dell’arte questo principio dialettico di dinamica si incarna nel conflitto, come principio fondamentale dell’esistere di ogni forma e genere artistico. L’arte è sempre conflitto:

  1. per la sua missione sociale (palesa le contraddizioni dell’esistente);
  2. per la sua natura essenziale (la sua natura è un conflitto tra esistenza naturale e tendenza creativa);
  3. per la sua metodologia (l’inquadratura ed il montaggio sono gli elementi fondamentali del cinema).

Montaggio: cos’è il montaggio per Ejzenstejn? Significa risolvere il problema del cinema come tale. Secondo alcuni teorici, come Kulesov e Pudovkin, il montaggio è il mezzo per svolgere un pensiero tramite i singoli pezzi-inquadrature.  (principio “epico”); per Ejzenstejn il montaggio non è un pensiero composto da pezzi che si succedono, bensì un pensiero che trae origine dallo scontro di due pezzi indipendenti l’uno dall’altro.
È come nei geroglifici giapponesi dove dei segni autonomi (inquadrature), accostati l’un l’altro, esplodono in un concetto (abbiamo visto Occhio + acqua = piangere, Porta + orecchio = ascoltare ecc.). Ejzenstejn ci ricorda che il fenomeno del movimento al cinema consiste nel fatto che due immagini immobili di un corpo in movimento, succedendosi l’un l’altra, si fondono in un movimento quando vengono mostrate secondo una certa velocità di successione (fenomeno PHI o di permanenza ottica dell’immagine). Questa definizione volgare di ciò che accade – la fusione, appunto – ha portato ad una definizione volgare del montaggio, secondo il regista russo. Due immagini mobili, poste l’una accanto all’altra, producono un’illusione di movimento. Ma sulla pellicola sono disposte in modo successivo l’una all’altra: nel nostro cervello, invece, esse vengono ordinate l’una sopra all’altra, proprio grazie al fenomeno di permanenza ottica dell’immagine.
Tutto nasce dalla non-corrispondenza tra la prima immagine impressa nella retina e la seconda immagine percepita: il conflitto tra le due fa nascere la sensazione di movimento. Lo stesso avviene in una singola inquadratura: in cosa consiste l’effetto dinamico in una inquadratura? Ejzenstejn afferma che l’occhio segue la direzione di un elemento. Ne conserva un’impressione visiva che poi si scontra con l’impressione derivata dal seguire la direzione di un altro elemento. Il conflitto tra i due forma un effetto dinamico nella percezione dell’Intero.
Nell’immagine in movimento (il cinema) abbiamo, dice Ejzenstejn, la sintesi di entrambi i contrappunti, dell’immagine spaziale e di quella musicale (la temporalità); uno dei caratteri salienti del cinema è, dunque, il concetto di contrappunto visivo: tale concetto ci permette di accennare ad alcuni fondamenti riguardanti la grammatica cinematografica:

  1. l’inquadratura non è un elemento di montaggio bensì una cellula (o molecola) di montaggio;
  2. ne deriva una divisione dualistica: Didascalia e Inquadratura; Inquadratura e Montaggio;
  3. il conflitto all’interno di una tesi (pensiero astratto): 1) si formula nella dialettica della Didascalia; 2) si forma spazialmente nel conflitto interno all’inquadratura ed esplode nel conflitto di Montaggio tra Inquadrature.

L’elemco dei conflitti lo abbiamo già visto in precedenza; Ejzenstejn osserva che i conflitti sono definiti secondo il loro tratto principale, secondo la dominante. Ovviamente il più delle volte essi appaiono raggruppati in complessi, il che vale sia per l'inquadratura che per il montaggio.
In pratica nasce il conflitto tra esperienza ottica e acustica: e ne deriva il contrappunto audio-visivo.
 
Sintassi cinematografica:

Ejzenstejn indica una serie di possibilità partendo dalla tesi che il concetto di movimento cinematografico nasce dalla sovrapposizione (dal contrappunto) di due diverse immagini immobili.

1) Ogni frammento ripreso contenente movimento: non esiste ancora un’organizzazione (uomo che corre, arma che spara, acqua che zampilla).
2) Rappresentazione di movimento creata artificialmente; il materiale di base viene utilizzato per una creazione unitaria in modo:

  1. logico: esempi da Ottobre e da La corazzata Potemkin: montaggio di una mitragliatrice che spara combinata con dettagli dello sparo (mitragliatrice illuminata/mitragliatrice all’oscuro o mitragliatrice/primo piano della canna); una donna con occhiali, immediatamente dopo la stessa persona con gli occhiali rotti ed un occhio sanguinante;
  2. alogico: esempio dal Potemkin: immagine simbolica con il leone di marmo che balza in piedi al rombo dei cannoni della Corazzata, in segno di protesta contro il bagno di sangue della scalinata di Odessa. Si sono montati in successione tre leoni di marmo: uno che dorme, uno che si sveglia ed il terzo che si alza. Si applica il concetto del contrappunto sovrapponendo le tre immagini.

3) Combinazioni emotive. Non sono solo in gioco gli elementi visibili delle parti montate, ma soprattutto una serie di associazioni psicologiche (montaggio associativo). Nel caso “I” avevamo due inquadrature il cui soggetto era identico ma non era identica la sua posizione nell’inquadratura; ciò produceva una dinamizzazione nello spazio, l’impressione di una dinamica spaziale. Ipotizziamo ora che le due inquadrature non hanno soggetti identici, ma che siano identiche però sul piano associativo: in tale ipotesi la dinamizzazione non avviene nel campo dello spazio bensì in quello psicologico ed emotivo.

  1. Dinamizzazione emotiva: esempio da Sciopero: La scena dell’uccisione degli operai venne realizzata con un montaggio incrociato della strage con la macellazione di un toro (c’è differenza di soggetti, ma il macello funge da legame associativo). Anche nella Madre di Pudovkin il montaggio del disgelo del fiume con la manifestazione operaia ha una forma analoga.

 4) Liberazione di un’azione completa dalla dipendenza nei confronti del tempo e dello spazio. I primi tentativi di Ejzenstejn in questa direzione risalgono ai tempi di Ottobre. Un esempio è la scena in cui Kornilov fa fallire i piani bonapartisti di Kerenskij. Qui uno dei carri armati di Kornilov si solleva sulla trincea e manda in pezzi una figura di gesso di Napoleone che sta sulla scrivania di Karenskij, il tutto con un puro significato simbolico.

Se finora i punti 1,2 e 3 mostravano una tensione che mirava ad ottenere un effetto dal puramente ottico all’emozionale, bisogna osservare come Ejzenstejn miri anche a creare nuove tensioni, cioè nuovi risultati puramente intellettuali tramite un diverso utilizzo della tensione-conflitto. Un esempio, ancora da Ottobre, è quello dell’ascesa al potere di Karenskij dopo i giorni del luglio 1917. L’effetto comico venne ottenuto da Ejzenstejn mostrando didascalie di cariche (dittatore, generalissimo, Ministro ecc) sempre più alte con 5-6 pezzi della scala del Palazzo d’Inverno su cui Karenskij percorre ogni volta lo stesso tratto. Qui il conflitto tra il continuare a salire le scale ed il rimanere sempre allo stesso posto produce un senso intellettuale: il discredito satirico di quei titoli in rapporto alla nullità di Karenskij. Oppure un esempio (sempre dal medesimo film) è quello in cui Kornilov marcia contro Pietrogrado con la parola d’ordine «in nome di Dio e della patria!»: Ejzenstejn tentò di usare la rappresentazione per scopi antireligiosi, montando insieme un certo numero di immagini rappresentanti la divinità, da un Cristo ad un idolo degli eschimesi; qui il conflitto è tutto tra il concetto di divinità e la sua simbolizzazione. Si mantiene il concetto di Dio, ma non si favorisce alcun concetto né alcuna preferenza religiosa.

Il tentativo di un cinema intellettuale fu portato avanti e valorizzato da Ejzenstejn con lo scopo di dar vita ad un cinema puramente intellettuale, in grado di esprimere in maniera diretta, senza bisogno di espedienti, le idee, i sistemi, i concetti. Ejzenstejn favoleggiava una reale sintesi di arte e scienza come nuova parola d’ordine della nostra epoca nel campo dell’arte.

LA QUARTA DIMENSIONE NEL CINEMA

Abbiamo visto come, per Ejzenstejn, il montaggio ortodosso si fondi sulla dominante; la combinazione dei pezzi avviene effettuata secondo determinati indici prevalenti. Montaggio secondo la cadenza ritmica, montaggio secondo la linea di sviluppo principale presente nell’inquadratura, montaggio secondo la lunghezza (o durata) dei pezzi e così via. In ognuno la dominante fa nascere il conflitto che è alla base dell’intera concezione ejzenstejniana del montaggio.
Ma non è possibile analizzare la dominante come qualcosa di indipendente, di assoluto e invariabile. Può essere definita con maggiore o minore approssimazione, ma mai in modo assoluto. La sua manifestazione, infatti, dipende da quella stessa combinazione di pezzi la cui unione è stata realizzata proprio in forza del suo intervento. Ne deriva che: anche se abbiamo una serie di pezzi di montaggio come un vecchio canuto, una vecchia canuta, un cavallo bianco ed un tetto innevato, ancora non è possibile stabilire se questa serie lavora nel senso della vetustà o in quello della bianchezza. E la sequenza potrebbe continuare a lungo fino alla comparsa di un pezzo-indicatore, che di coplo battezza tutta la serie con un indice preciso. Ed è questo il motivo per cui si consiglia, nel caso del montaggio ortodosso, di collocare il pezzo-indicatore il più possibile vicino all’inizio, e spesso ciò avviene con l’utilizzo obbligatorio di una didascalia.
Ma Ejzenstejn ci introduce un discorso sul film “La linea generale”, indicandolo come un film che si distingue dal montaggio ortodosso. Il regista afferma di aver messo sullo stesso piano tonale tutti gli elementi eccitatori; la dominante, pur essendo più forte, non è l’unico eccitatore di un pezzo. Insomma, ad un eccitatore “centrale” si collega un complesso di eccitatori secondari.
Su questo procedimento si basa il montaggio de La linea generale: senza privilegiare una particolare dominante, esso fa in modo che come dominante risulti la tonalità (e quindi l’insieme) delle stimolazioni prodotte da tutti gli eccitatori. Questo particolare complesso di montaggio interno al pezzo nasce dalla collisione e dall’unificazione dei singoli eccitatori che gli sono inerenti.
Naturalmente ciò che interessa ad Ejzenstejn è verificare il procedimento del montaggio in quanto tale: innanzitutto va detto che il montaggio armonico ha dovuto assumere una linea contraria alla dominante. Ma il metodo del montaggio armonico, pur essendo un procedimento collaterale innestato artificialmente nel cinema, è una tappa dialettica coerente dello sviluppo del sistema generale del montaggio, che si collega con una precisa continuità agli stadi precedenti? Ejzenstejn indica allora quali sono le categorie di montaggio a noi note per risolvere la questione:

 Montaggio metrico

Il criterio di base del montaggio metrico consiste nelle lunghezze assolute dei pezzi, ed i pezzi sono collegati in accordo con le loro lunghezze in una formula-schema. Il risultato consiste nella ripetizione di questa formula. La tensione si raggiunge con un effetto di accelerazione: si riduce via via la lunghezza dei pezzi, conservando la formula. La precisione di tale montaggio, secondo Ejzenstejn, porta “all’unisono” la pulsazione dell’oggetto cinematografico e la pulsazione della platea. Senza questo presupposto non può esistere nessun rapporto tra i due. Va notato che in questo tipo di montaggio la costruzione interna all’inquadratura è interamente subordinata alla lunghezza del pezzo; per questo si privilegiano sempre gli aspetti che manifestano con più evidenza la dominante.

Montaggio ritmico

Qui, invece, ciò che conta è da considerarsi il contenuto interno dell’inquadratura, che definisce la lunghezza dei pezzi. La tensione formale di accelerazione si ottiene scorciando i pezzi non solo secondo la formula dello schema principale ma anche violando questo principio. Un esempio viene dal Potemkin, nella scena della scalinata di Odessa: il tamburo “ritmico” dei piedi dei soldati che scendono è una perfetta violazione della norma metrica della sequenza; esso non coincide mai con gli intervalli prescritti dal metro, ed ogni volta appare in una diversa soluzione d’inquadratura.
Il punto più alto della tensione si ottiene tramite una “conversione” del ritmo dei passi dei soldati che scendono la scalinata: la carrozzina che ruzzola giù per i gradini. Qui la carrozzina, in rapporto ai piedi, funge da acceleratore: la discesa dei piedi si converte nel ruzzolone della carrozzina.

Montaggio tonale

È lo stadio successivo rispetto al montaggio ritmico. Nel montaggio ritmico il movimento interno all’inquadratura era inteso nel senso dell’effettivo spostamento materiale (dell’oggetto nell’inquadratura o dell’occhio in movimento lungo le linee dell’oggetto immobile); ora, invece, nel montaggio tonale intendiamo il movimento in un’accezione più ampia: comprende tutti i tipi di vibrazione che il pezzo sprigiona. Ed il montaggio si pone sotto il segno della “sonorità emotiva” del pezzo stesso della sua “sonorità dominante”. È necessario, dice Ejzenstejn, che sia colto il tono generale del pezzo.
Come si vede, dunque, questo tipo di montaggio si basa sulla risonanza emotiva dominante del pezzo; un esempio potrebbe essere la sequenza della nebbia nel porto di Odessa (che precede la scena del lutto per la morte di Vakulincuk nel Potemkin): qui il montaggio è costruito esclusivamente sulla risonanza emotiva dei singoli pezzi, e cioè indipendentemente dal movimento inteso come spostamento spaziale.

Montaggio armonico

Secondo Ejzenstejn, il montaggio armonico è la tappo successiva nello sviluppo organico della linea del montaggio tonale. Si differenzia da quest’ultimo per il computo complessivo di tutti i fattori di stimolazione presenti nel pezzo (come avevamo avuto modo di vedere in occasione del montaggio de “La linea generale”).

Queste quattro categorie rappresentano i procedimenti del montaggio. Ejzenstejn afferma che, mantenendo costante il loro schema relazionale interno, esse procedono verso forme sempre più raffinate di montaggio che nascono l’una dall’altra. Così, il passaggio dal procedimento metrico a quello ritmico si effettua come una affermazione del conflitto tra la lunghezza del pezzo ed il movimento all’interno dell’inquadratura. Il passaggio al montaggio tonale sorge dal conflitto tra il principio ritmico e quello tonale del pezzo. Infine, il montaggio armonico implica il conflitto tra il principio tonale del pezzo (dominante) e quello armonico.  

Riassunti di cinema INTRODUZIONE ALL’ANALISI DE IL MONTAGGIO (S.M.Ejzenstejn)

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